“Poema umano” di Vittore Vittori

Poema pubblicato nel 1907.

Dall’incipit del libro:

"Poema umano" di Vittore Vittori.
“Poema umano” di Vittore Vittori.

A CHI LEGGE

Ne uscì un saggio, Farfallino, sono ora più di cinque anni.

Gioverà premettere che Farfallino si ripresenta oggi vestito di novo.

Povero Farfallino! Era un contadinozzo su dell’Alpe di Trento, e ce n’è voluto a ridurlo un po’!

Ma era un saggio; e i saggi sbagliano, e quindi si correggono.

Il mondo poi è, dicono, alquanto matto: pochi degnarono di uno sguardo, quando egli discese la prima volta in pianura, il semplice contadinello.

Taluno anzi, avendolo richiesto del nome, credette capire che Farfallino fosse Puccettino o Burattino: insomma fu scambiato per un piccolo eroe da berta, da addormentare le bimbette capricciose.

Ora seco lui v’è il fratel suo, quello grande, quello che bastona gli uomini e i superuomini, Marmottino, e sarà un altro di maniche paio!

Gran, brigante è Marmottino.

E gran burlone, non senza un qualche pizzico di sale; anzi stamattina s’era dato al serio, e m’ha detto: «O babbo, vedrai, io saprò convincere perfino i matti. E a te accadrà – e ciò vada a proposito di quel piffero ch’è il fratel mio – come al Manzoni per gli Inni sacri: chi s’accorse della stampa? or ecco dopo cinque anni ti esce una ristampa, e ti leva a romore mezza Italia».

Io risposi: «A parte la distanza tra i grandi in genere – ed il Manzoni in ispecie – e il mio qualunque io, può essere fino a un certo punto tu colga nel segno.

Solo che gl’inni miei non mi paiono proprio sacri: odorano sì alle volte di resina e di lavanda, ma non mai di santità, e ignoro quale effetto essi faranno al naso del papa re, delle sue agne e dei suoi pecori neri.

Anche: gl’inni miei non sono cuccioli o cagnette; tali superbestiole possedono soltanto esse tatto fine e sapore e furor di poesia.

Ed è un pezzo, qui in Italia, ch’e’ vanno spruzzando morbide e sollecite dagli aulolosi inaffiatoi la loro minuta pioggerella di miele per le labbra rosee dei nepoti dei Gracchi e di Dante. E già siffatto liquidare s’è infiltrato nel sangue latino, ribelle al vecchio e nauseabondo olio di merluzzo.

Un agrodolce, a parlar netto, equivoco: aulisce di acqua santa, di menta venerea, e di brodetto di Felsina falsificato; sebbene raccolto con estetico gesto nell’arco della mano e voluttuosamente sorbito, fino a lambirsene l’unghie rapaci, dai giovani poeti scrofolosi e dalle loro clorotiche e saporite madonne Francesche».

Bologna, settembre 1905.

L’AUTORE

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