Ultimo romanzo scritto nel XIX secolo. Pubblicato nel 1900.
Dall’incipit del libro:
Grazia Deledda
I.
Giorni lieti s’avvicinavano per la famiglia Portolu, di Nuoro. Agli ultimi di aprile doveva ritornare il figlio Elias, che scontava una condanna in un penitenziario del continente; poi doveva sposarsi Pietro, il maggiore dei tre giovani Portolu.
Si preparava una specie di festa: la casa era intonacata di fresco, il vino ed il pane pronti1; pareva che Elias dovesse ritornare dagli studi, ed era con un certo orgoglio che i parenti, finita la sua disgrazia, lo aspettavano.
Finalmente arrivò il giorno tanto atteso, specialmente da zia Annedda, la madre, una donnina placida, bianca, un po’ sorda, che amava Elias sopra tutti i suoi figliuoli. Pietro, che faceva il contadino, Mattia e zio Berte, il padre, che erano pastori di pecore, ritornarono di campagna.
I due giovanotti si rassomigliavano assai; bassotti, robusti, barbuti, col volto bronzino e con lunghi capelli neri. Anche zio Berte Portolu, la vecchia volpe, come lo chiamavano, era di piccola statura, con una capigliatura nera e intricata che gli calava fin sugli occhi rossi malati, e sulle orecchie andava a confondersi con la lunga barba nera non meno intricata. Vestiva un costume abbastanza sporco, con una lunga sopragiacca nera senza maniche, di pelle di montone, con la lana in dentro; e fra tutto quel pelame nero si scorgevano solo due enormi mani d’un rosso-bronzino, e nel viso un grosso naso egualmente rosso- bronzino.
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