Romanzo del 1903.
Dall’incipit del libro:
I BANCHI PERLIFERI DI MANAAR
La cannonata dello stazionario inglese aveva rimbombato lungamente sulle acque azzurre cupe, che allora cominciavano a tingersi de’ primi riflessi dell’alba, dando il segnale dell’apertura della pesca.
Centinaia e centinaia di barche montate da numerosi equipaggi, quasi completamente nudi, accorrevano a gran forza di remi dalle coste dell’Indie e da quelle della grande isola di Ceylan.
Tutte si dirigevano verso i famosi banchi di Manaar, sulle cui sabbie, ogni anno, s’annidano milioni e milioni di ostriche perlifere e dove accorrono pure battaglioni di ferocissimi squali per banchettare allegramente colle carni dei disgraziati pescatori.
V’erano barche di tutte le specie e di tutte le forme: alcune lunghe e strette come canotti, altre rotonde e larghe di fianchi; altre ancora coi bordi alti, le prore rialzate a punta come usano gl’indiani delle regioni meridionali e le vele sciolte al vento.
Una, soprattutto, si faceva notare per la sua ampiezza e per la ricchezza delle sue bordature. Era, più che una barca, un piccolo bastimento, colla prora molto aguzza e adorna d’una testa d’elefante dorata, coi fianchi scolpiti, la poppa pure assai alta ed abbellita da pitture e colle vele rosse invece che bianche.
Una grande bandiera di seta azzurra, sulla quale si vedevano campeggiare tre perle in campo d’oro, sventolava sulla cima del secondo albero, contorcendosi sotto i soffi della brezza mattutina.
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