Satira in versi pubblicata nel 1871.
Dall’incipit del libro:
GL’ITALIANI LIBERI
Ranier, cui dieci lustri gravan gli omeri,
Non il robusto ingegno, e in Livio e Tacito
Paragoni le istorie, ai pigri stimolo;
Se riposi da studî melanconici,
Non ti scuoton de’ Gracchi idee magnanime,
Non vedi il Roman Fôro, ed ivi accogliersi
I nuovi Tullî e noi stirpe degenere?
Nella congiunta omai ampia penisola
Insorgon molti a simular filosofi,
Duci, tribuni, eroi che a tempo vissero;
Curan d’illustri fatti gli ammenicoli,
Né un segno pur traluce dello spirito
Che gli antichi moveva. Hanno per simbolo
L’Ideale universo indefinibile
Con Roma, a cui s’inchinin tutti i popoli;
E a Marte non vorrian, servo di regole,
Gl’Itali ascritti; imberbi l’alma Venere
Onorino, Minerva fiacchi e lividi.
Cincinnato novel, resa Partenope
In libertade, stette in solitudine,
Ma l’intelletto non n’adegua l’animo. –
E d’altro stampo ecco larve e fantasimi
Di chi la Fede suggellò con semplici
Parole e con la vita; esperti i Vescovi
Per le terre le sparse ossa virginee
In più nicchie raccolte, tante patrie
Annoverate avean quante Canoniche:
Or Simone si piagne e i chiostri comodi,
Le Bolle, il santo rogo, le enfiteusi:
Contro il fuggito gregge si dibattono
I Cardinali in veste di Grisostomi,
A statuir che gli emisferi domini,
Con infallibil cenno, il Prete Massimo.
Or lasciami cantar di Eroi politici,
Ch’una per altra età scambiar m’insegnano
E a nuove cose vecchi nomi aggiugnere;
Tocchi la sferza ancor gli Àuguri e i Flàmini
Ch’escon dal Tempio, e noi dal Fôro additano. –
Siccome in primavera si trasformano
In larve e farfallette le crisalidi,
Sciame così di partigiani logori
Si rinnovella e mal si move ed agita.
E come col pastor soglion le pecore,
Che prontamente alla sua voce timide
A dosso alle compagne il muso strisciano;
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