Racconto di Ryūtei Tanehiko (pseud. di Takaya Hikoshirō) pubblicato, in Giappone, nel 1821.
Questa traduzione, a cura di Antelmo Severini, è la prima (l’unica?) in taliano.
Dall’incipit del libro:
CAPITOLO I.
Appartenente alla famiglia del Niudô[3] Hamana vicerè del Cuantô,[4] viveva nei tempi antichi un nobil uomo per nome Abosci Tamontarô Caziosci. Signore di mezza la provincia di Cádsusa, amico delle lettere, valente in armi, circondato da familiari numerosi e di buon nome; per autorità e potenza era appena da meno del vicerè.
In vicinanza di Cobúcuro-Saca, paesello del territorio di Camacúra nella provincia di Sagami,[5] s’era egli fatto mettere in tutto punto un bellissimo castello: e possedendo anche luoghi di delizie in quei dintorni, come a dire in Oíso, a Canazava, ed altri altrove non pochi, menava vita da ricco splendida e lieta.
S’era là sulla fine d’autunno, quando, con l’intenzione di godersi la vista degli alberi ormai tutti rivestiti di frondi rosse, e con animo anche di saettare alla caccia i fagiani, Tamontarô si recò al suo villino d’Oíso, che di recente avea fatto rimettere a nuovo: e quivi dopo tutto un giorno passato a diporto, di primissima sera giunse a un padule che aveva nome Scighi-tazzu-sava.[6] Era un luogo quanto mai solitario e lontano dalle abitazioni degli uomini, senz’altro edifizio che un vecchio tabernacolo là da una parte, dove a ragione erano stati scolpiti i pochi versi che ispirò questo deserto al poeta Saighiô:
«La tristezza che a mio mal grado mi assale, so ben io d’onde viene. In questa solitudine di Scighi-tazzu-sava mi coglie in autunno il cader della sera.»
3 Niudô è un antico titolo di nobiltà.
4 Vasta regione intorno a Jedo, divisa in otto provincie.
5 Nome di una delle otto provincie del Cuantô, detta alla cinese anche Sesciu. Cádsusa, nominata poco sopra, è al S-E, e Sagami al S-O di Jedo.
6 È nel distretto Tò-ki della provincia Sagami.
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