Romanzo del 1894, qui in una edizione del 2003.
Dall’incipit del libro:
CAPITOLO I
Anacleto Corniola, sindaco di Roccaspinosa, non si poteva dire un bell’uomo: corto, smilzo, secco allampanato, con una vocina di testa che pareva uscirgli dal naso, due occhietti bigi, aguzzi, rimpiattati sotto i sopraccigli neri, un’andatura grave, sgangherata, come di palmipede fuor d’acqua, ed un piglio ed un fare pieni di grossolana alterezza… No, francamente, non si poteva dire un bell’uomo; ma era astuto, intraprendente, faccendone, testereccio: ciò che gli era servito a farsi largo tra la folla, e ad aspirare bel bello dalla vanga alla sagrestia e da questa ad uno stallo di padre coscritto.
Si sa che cosa importa nascere a buona luna, avere per sé una stella in cielo e il vento che ti soffia a fil di ruota… Anacleto era povero, e il reverendo curato – una perla d’uomo, che gli aveva voluto sempre un bene da prete – pensa ad accasarlo con un’agiata zitellona, sua antica penitente; Anacleto era ambizioso, e lo stesso don Barnaba fa di mani e di piedi per lastricargli la via all’onor del sindacato. Una volta a capo della magistratura civica, il nostro uomo non tardò ad imbastire eccellenti affari co’ suoi amministrati, a mandare allegramente avanti la barca del comune, e – aiutandosi da sé, perché Dio lo aiutasse, – ad arrotondare onestamente il patrimonio toccato per via della consorte. Cose che capitano anche oggi, coll’aiuto di Dio, a molti che amministrano onestamente la roba d’altri.
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