Due racconti (il secondo è Saggezza) pubblicati nel 1895.
Dall’incipit del libro:
DOPO LA SENTENZA.
Appena rimesso dall’immane stanchezza e fatte le poche visite indispensabili alle persone che gli avevano prestato il loro appoggio durante il processo e la prigionia, l’avvocato Mario Limonta si fece condurre alla stazione, perchè non vedeva l’ora di andarsene, di cambiar paese.
Lo accompagnavano alcuni suoi amici e il dottor Giovanni Limonta, suo fratello, che andava con lui fino a Bergamo.
Sotto la tettoia della stazione pareva, a quell’ora, il finimondo.
Sibili acuti di locomotive appena arrivate o pronte per la partenza; gridi insistenti, rabbiosi; colpi formidabili, schianti: tutto insieme un rumore da orde selvagge, centuplicato dal rimbombo che rintronava gli orecchi ai poveri viaggiatori.
E questi andavano e venivano, nel denso fumo, con quell’aria di sbalordimento, come mandre sbandate, risospinti di qua e di là dai facchini, dai guardiani, dai conduttori.
– Arriviamo appena in tempo – disse il dottore. – Il treno per Bergamo è quello laggiù, a destra. Andiamo.
– Andiamo – ripetè macchinalmente l’avvocato, serrando la mano agli amici.
– Addio! A rivederci! – A rivederci!…
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