Dramma in quattro atti.
Al momento della pubblicazione (1922) mai rappresentato.
Dall’incipit del libro:
PREAMBOLO
Ho voluto graziare questo dramma che gemeva nel prefunerario cassetto delle mie cose inedite e condannate a un rogo più o meno lontano, perché, leggendolo (evidentemente lo avevo scritto, ma non lo avevo letto mai) ho ritrovate, vive e cospicue, sotto la polvere d’una affrettata negligenza scettica, le ragioni donde mi germinò nella commossa fantasia. Esso è, in vero, – quale che sia il valore estetico che contenga – la continuazione, il compimento, la sintesi, il culmine sillogistico di molte opere mie d’indole tragica, forse non pregevoli e tuttavia non spregiate e non ancora a me discare. E mi sembra che ciò debba risultar netto a chiunque abbia avuta la cortesia di guardare al cammino che io, illuso o disilluso, alacre o accidioso, ho percorso fin qui nel campo scenico, tra la volubilità delle platee e quella della ribalta, sempre serbandomi più tenero dei miei lettori che non delle une e dell’altra, sempre sognando un po’… un teatro senza teatro. (È una mia antica e fissa idea che si possa non destinare al teatro – cioè alla rappresentazione – un’opera a cui si sia data l’impronta della scena. Non è forse presumibile che l’artista abbia prescelta questa impronta soltanto perché è quella più vicina a una forma di vita?…)
Il costrutto del dramma graziato, che, mediante il salvacondotto della tipografia, potrà liberamente vivere o vivacchiare e morire di morte naturale e che si aderge a compiere la sagoma d’una piramide racchiudente le già vissute opere cui ho accennato, non è da enunciare in una baldanzosa conclusione, né in una sbandierabile sentenza, ma bensì in due interrogazioni, trepide e pur pungenti:
– Dove finisce, nell’animale umano, la saggezza e dove comincia la follia?
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