“Naufraghi in porto” di Grazia Deledda

Romanzo del 1920. Seconda edizione riveduta di “Dopo il divorzio” del 1902.

"Naufraghi in porto" di Grazia Deledda.
“Naufraghi in porto” di Grazia Deledda.

Dall’incipit del libro:

I.

In casa Porru, nella camera dei forestieri, c’era una donna che piangeva. Seduta per terra, vicino al letto, con le braccia sulle ginocchia sollevate e la fronte sulle braccia, piangeva singultando, scuotendo la testa come per significare che per lei non c’era, non c’era più speranza. Le sue spalle rotonde e il suo dorso ben fatto, ben disegnato da un corsetto di panno giallo, s’alzavano e si abbassavano come un’onda.

Intorno era quasi buio: la camera non aveva finestra; la porta spalancata su una terrazza di mattoni s’apriva su uno sfondo di cielo cenerognolo che andava sempre più oscurandosi. Su quello sfondo brillava una piccola stella gialla lontana; e nel cortile s’udiva un grillo zirlare e la zampa d’un cavallo, di tanto in tanto sbattersi sulle pietre del selciato.

Una donna bassa e grassa, in costume nuorese, con un gran viso di vecchio grasso, apparve sulla porta, con in mano una lampada di ferro a quattro becchi, in uno dei quali ardeva un lucignolo nuotante nell’olio.

– Giovanna Era, – disse con voce grossa e rude, – che fai lì al buio? Sei lì? Che fai? Mi pare che tu pianga! Tu sei matta, in verità mia, tu sei matta!

L’altra continuò a singhiozzare più forte.

– Ah! Ah! Ah! – disse la donna grossa, avanzandosi, come sorpresa e scandalizzata. – Lo avevo detto io che piangevi! Perchè piangi? Tua madre è giù che li aspetta, e tu piangi come una matta che sei.

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