“Signora Ava” di Francesco Jovine

Romanzo del 1942.

"Signora Ava" di Francesco Jovine.
“Signora Ava” di Francesco Jovine.

Dall’incipit del libro:

I.

Don Matteo Tridone si schermiva dal sole per guardare la siepe che aveva di fronte. Con gli orecchi tesi seguiva il vario cinguettare dei passeri tra i rami dei fichi e i rovi della fratta. Quelli caduti nella rete avevano uno scoppio improvviso di note rabbiose, poi un pigolio lungo e dolente. Gli altri, volando sulle piante, affondavano il becco nelle ferite dei fichi che pendevano flaccidi dai rami con la lagrima mielata nella punta; poi, sazi, accorrevano al richiamo della siepe.

Don Matteo era seduto su una panca all’ombra di un olmo carico di bacche e di foglie. Davanti aveva una breve porca di terra disseminata di piante gialle di pomodori che avevano ancora alcuni frutti troppo maturi alla base e verdi alle punte. Ai lati, rosai spogli e cespi di gerani disseccati. Tutta la vegetazione moriva nel sole pallido di fine ottobre e nel silenzio della campagna umida. C’erano state la settimana avanti grandi piogge dapprima calde e irruenti dominate dallo scirocco che veniva dalla piana di Puglia, poi lente ed uguali con fresco sentore d’inverno.

Don Matteo di tanto in tanto dava un’occhiata distratta al breviario che aveva aperto sul ginocchio destro. Un Oremus rosso colpito da un raggio rifulgeva con una consistenza metallica, le altre parole erano annegate nell’ombra.

Il prete era senza sottana: in panciotto, brache e collare. I calzoni gli arrivavano poco più giù del ginocchio ed erano pieni di toppe multicolori, le calze di grossa lana nerastra si perdevano nelle scarpe a fibbia troppo grandi per i suoi piedi: le scarpe s’ingegnavano a rendere torpida l’apparenza delle sue gambe magre; il panciotto aperto e la camicia troppo larga, davano al suo busto una goffaggine che s’indovinava falsa. Dritto in piedi il suo corpo aveva un’asciuttezza dura e giovanile; il ventre piatto, il fianco snello, e una rapidità un po’ scattante e sbilenca per un ritegno innaturale dei movimenti dovuto all’abitudine della compostezza sacerdotale.

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