Racconto lungo pubblicato, nel 1890, sulla Nuova antologia di scienze, lettere ed arti. (Serie 3, v. 26, pp. 300-324, 510-528, 710-732)
Dall’incipit del libro:
Emma Perodi
Suor Ludovica
La lettera fredda di suor Ludovica, quella lettera che erale costata tanta fatica, giunse ad Enrico la sera del giorno in cui era stata scritta e gli fu portata dalla marchesa Mati, cui era stata diretta, in camera del cardinale, che lottava ancora fra la morte e la vita. Un accesso di gotta lo aveva ridotto in poco tempo irriconoscibile. Egli, che era uno dei cardinali più giovani del Sacro Collegio e che fino a pochi giorni prima era ancora un uomo forte e dall’aspetto giovanile, ora pareva un vecchio decrepito. Seduto sul letto, con un mucchio di guanciali dietro le spalle, con i rari capelli scomposti e attaccati alle tempie dal sudore, con gli occhi socchiusi, infossati nelle occhiaie azzurrognole, respirava affannosamente e con la mano inquieta cercava sempre quella di Enrico.
La marchesa, che era molto attaccata all’interesse e vedeva approssimarsi la fine del fratello, non era punto tranquilla; agitavala il pensiero costante che egli l’avesse privata di una parte dell’eredità in favore dei Sironi e si pentiva di aver consigliato Enrico di venire a Frascati. Dopo che il cardinale aveva fatto chiamare il notaro ed era rimasto con lui lungamente chiuso in camera, la vecchia signora non trovava più pace. Aveva sempre fatto assegnamento sopra il fratello per dare una dote alle tre brutte figliuole che aveva da maritare, e questa speranza, più che l’affetto, l’avevano indotta a usargli ogni sorta di attenzioni ed a far violenza alla naturale infingardia, per trovarsi ogni giorno alle ore fisse in casa di lui e sorvegliarne l’andamento…
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