“Alberto” di Edmondo De Amicis

Racconto lungo, pubblicato sulla Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, nel 1872 (Serie 1, v. 19, pp. 104-146)

Dall’incipit del libro:

"Alberto" di Edmondo De Amicis.
“Alberto” di Edmondo De Amicis.

Alberto

I.

Era bello a vedersi il giardino della piazza d’Azeglio la sera d’una giornata di primavera, due anni fa, quando Firenze era ancora capitale. Vi convenivano centinaia di fanciulli, molti di famiglie fiorentine, la più parte di famiglie d’impiegati d’ogni provincia; era il ritrovo delle Italiane e degl’Italiani più piccini e più belli che avevano attirato in quella città il Parlamento, i Ministeri, e l’altre istituzioni dello Stato; il fiore dell’innocenza e della gaiezza della Capitale.

Le madri, le governanti, le bambinaie stavan sedute sulle panche a destra e a sinistra dei viali; i bambini correvano in mezzo; nel centro del giardino sonava la banda. Fino all’imbrunire era un movimento e un gridìo continuo.

Frotte di ragazzi uscivano di dietro ai cespugli, si sparpagliavano ridendo, s’inseguivano e ridevano, correvano a giri e rigiri come le rondini, e ridevano sempre, cadevano, ridendo ancora, e si rialzavano, e ricominciavano a darsi dietro.

Qua una bimba perdeva il pettine, là un’altra la pezzuola, qualcuna si fermava per farsi riabbottonare lo stivaletto.

Da un lato all’altro dei viali si chiamavano ad alta voce, e in un momento si sentivano cento nomi di santi, di guerrieri, d’imperatori, di poeti: – Maria! – Ettore! – Pompeo! – Non si capivan tutti fra loro. – Cos’hai detto? – domandava una toscana chinandosi verso una lombarda che le aveva diretto la parola passando.

Formavan dei cerchi a dieci insieme tenendosi per mano, giravano e giravano, e cadevan tutti, e alle bambine più grandi si scioglievano i lunghi capelli, e le piccine piangevano.

Tratto tratto, due che s’eran bisticciati andavano a chieder giustizia, seguìti da un piccolo drappello di curiosi, al tribunale di qualche mamma seduta in disparte.

Altri, spossati dalla corsa, col viso infiammato, ansanti, riposavano sull’erba sin che avessero ripreso nuova lena per ritornare ai giuochi.

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