Romanzo del 1897.
Dall’incipit del libro:
I.
Il commendatore capocomico, alzatosi dalla poltrona, si tirava in giù il panciotto bianco, quasi recitasse una delle sue famose parti di caratterista, così esageratamente scoteva la testa in segno di gran malcontento, torcendo le labbra su la faccia rasa di fresco. Ah, quell’Arianna! Promessa da mesi e mesi – ed egli ci contava molto in quella disastrosissima stagione primaverile nella capitale – l’Arianna non era ancora finita!
Giorgio Montani, baloccandosi a tamburellare col tagliacarte sul piano della scrivania ingombra di fogli in disordine, appoggiato alla spalliera della seggiola, socchiudeva di tratto in tratto gli occhi, evidentemente annoiato di quella visita troppo prolungata.
Il commendatore, che non aveva potuto cavar di bocca al commediografo una qualunque promessa, con tono di voce lamentoso e mimica insinuante, tentava un ultimo assalto:
– Mancano, a quel che dici, soltanto l’ultima scena dell’atto secondo e l’intero atto terzo. Se tu volessi… se tu volessi, in un mese…! E daremmo la prima rappresentazione a Torino, col tuo pubblico prediletto.
– Sono scontento del mio lavoro… Non so… Vedremo.
– Ma dunque non hai bisogno di quattrini? – lo interruppe il commendatore sospirando.
– No – rispose Giorgio Montani, con sorriso stentato.
– Non ti riconosco! Che hai? Tu sei malato. L’aria di Roma ti ha sfibrato, come tant’altri, come tutti! Hai voluto venire anche tu nella capitale, attratto dal malefico fascino di questa immensa cosa morta, e ricordi? te l’ho predetto – già non sei più buono a niente. Roma è fatale. Non volete capirlo! Sai quanto è stato l’incasso di ier sera al Valle? Sessanta lire e cinquanta centesimi; neppure le spese della luce elettrica e del fitto del teatro!
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