Racconto pubblicato sulla Nuova antologia di scienze, lettere ed arti nel 1892 (Serie 3, vol. 40, pp. 269-285 e 460-483.
Dall’incipit del libro:
Primo Maggio
I.
– Asino! Buono a niente! Impostore! – borbottava padre Michelangiolo, curato di Lena, un paese di circa mille anime appollaiato su la cima d’un dirupo, a poche miglia da Monte San Giuliano, l’Erice degli antichi, in Sicilia. – Impostore! Impostore! – ripeteva stizzosamente, voltando e rivoltando fra le dita una moneta logora e rugginosa, ch’egli avea raccattata la mattina dalla parte di Bonagia, in una delle sue consuete escursioni prima d’andare a dir messa.
Un odor fresco d’aranci in fiore entrava, col vento che scoteva le tende bianche della finestra, nella stanza grande e piena di sole; dove nulla colpiva l’occhio fuor che un armadio a due piani, tutto ingombro d’ossa, di cocci, di pezzi di marmo, di monete vecchie nel piano superiore; e di libri, d’opuscoli, di fasci di lettere nel piano inferiore. Quello era un de’ tesori di padre Michelangiolo; l’altro era un gran ritratto in fotografia, con dedica autografa, dentro una cornice dorata, appeso su la parete dirimpetto all’armadio.
Quando in casa di padre Michelangiolo capitava, non uno de’ villani del paese, ma qualche signore di riguardo, qualcuno di quelli con cui si poteva discorrere, il pretore di Bonagia, mettiamo, o il cavalier Bozzo di Palermo, che, nell’autunno, andava a villeggiare in paese, padre Michelangiolo non poteva tenersi di non mostrargli il ritratto e di non fargli leggere la scritta: Al suo dotto amico il padre D. Michelangiolo da Lena – Il marchese Fuentes.
– Un archeologo, ma!… – aggiungeva padre Michelangiolo, con un gesto che voleva dire: coi flocchi.
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